Il seguente discorso venne pronunciato nel 1870 durante il Concilio Vaticano I dal vescovo croato Josip Juraj Strossmayer, in opposizione all’investitura di Pietro da parte di Cristo e della conseguente infallibilità delle decisioni papali.

Vescovo Strossmayer

Venerabili Padri e Fratelli.

Non è che tremando, ma con la coscienza libera e tranquilla davanti a Dio che vive e mi vede, che prendo la parola in mezzo di voi, in questa augusta assemblea.

Da che seggo qui con voi, ho con attenzione seguiti i vostri discorsi che si son fatti in quest’aula, sperando con vivo desiderio che un raggio di luce, scendendo dall’alto, illuminasse gli occhi del mio intendimento, e mi permettesse votare i canoni di questo santo concilio ecumenico, con perfetta cognizione di causa.

Penetrato della parte di responsabilità, di cui Dio mi chiederà conto, mi sono dato a studiare con la più seria attenzione gli scritti dell’antico e Nuovo Testamento, ed ho domandato a questi venerabili monumenti della verità, di farmi conoscere se il santo Pontefice che ci presiede è veramente il successore di S. Pietro, Vicario di Gesù Cristo e dottore infallibile della Chiesa.

Per risolvere questa grave questione, ho dovuto far tavola rasa dello stato attuale delle cose, e trasportarmi con la mente, con in mano la fiaccola evangelica, nel tempo in cui non si conosceva né ultramontanismo [1] né gallicismoe in cui la chiesa aveva per dottori san Paolo, san Pietro, san Giacomo, san Giovanni, dottori ai quali non potremmo negare la divina autorità, senza mettere in dubbio quello che c’insegna la Santa Bibbia, che è qui davanti a me, e che il Concilio di Trento ha proclamata regola della fede e dei costumi.

Ho dunque aperte queste sacre pagine. Ebbene! Ardirò dirlo? Io nulla vi ho trovato che legittimi né da vicino né da lontano l’opinione degli oltramontani. Di più, con mia gran meraviglia, non si fa questione, nei giorni apostolici, né di un papa, successore di san Pietro e vicario di G. Cristo, come di Maometto, che ancora non esisteva.

Voi, Monsignor Manning, direte che io bestemmio; voi Monsignor Pie, che son fuori di senno; no, io non bestemmio, non son fuori di senno, Monsignori; ora, a meno che non abbia letto tutto intero il Nuovo Testamento, dichiaro davanti a Dio, la mano alzata verso questo gran crocifisso, che non vi ho trovata traccia alcuna del papato, come esiste attualmente.

Non mi recusate, venerabili fratelli, la vostra attenzione, e con i vostri mormorii e interruzioni non giustificate coloro che dicono, come il padre Giacinto, che questo Concilio non è libero, e che i nostri voti ci sono stati in precedenza imposti. Dopo ciò, questa augusta assemblea, sulla quale son rivolti gli occhi del mondo intero, cadrebbe nel più vergognoso disprezzo. Se vogliamo farla grande, siamo liberi.

Ringrazio S. E. Mons. Dupanloup del suo segno d’approvazione che fa con la testa; ciò mi dà coraggio e continuo.

Leggendo, dunque, i libri sacri con quell’attenzione di cui il Signore m’ha reso capace, io non trovo un solo capitolo, un solo versetto, in cui Gesù Cristo dia a S. Pietro la signoria sopra gli apostoli, suoi colleghi. Se Simone, figlio di Giona, fosse stato quello che noi crediamo essere oggi Santità Pio IX, è sorprendente che Egli non abbia detto loro: “Quando sarò salito al Padre, voi tutti ubbidite a Simon Pietro nella stessa maniera in cui ubbidite a me. Io lo stabilisco mio vicario in terra”

Non solo Cristo tacque su questo punto, ma così poco pensava di dare un capo alla chiesa che, quando promise agli apostoli la potestà di giudicare le dodici tribù d’Israele (Matteo 19: 28), garantì loro dodici troni, uno per ciascuno, senza però dire che uno di questi troni sarebbe stato più elevato degli altri, quello di S. Pietro. Certamente, se Egli avesse desiderato che così avvenisse, lo avrebbe detto.

Che cosa dobbiamo dedurre da ciò? La logica ci dice che Cristo non pensò di fare di S. Pietro il capo del collegio apostolico. Quando inviò gli apostoli alla conquista del mondo, a tutti fece la promessa dello Spirito Santo… Cristo – così dice la Scrittura – vietò a Pietro e ai suoi colleghi di regnare e di esercitare signoria o di aver autorità sopra i fedeli come i re delle nazioni (Luca 22:5). Se Pietro fosse stato destinato a essere papa, Gesù non avrebbe parlato in questi termini ma, secondo la nostra tradizione, il papato ha in mano due spade, simboli del potere spirituale e temporale.

Una cosa mi ha sorpreso moltissimo. Ragionando attentamente ho detto a me stesso: “Se S. Pietro veniva considerato papa, avrebbero i suoi colleghi permesso che fosse inviato con S. Giovanni in Samaria (Atti 8:14) ad annunciare l’Evangelo del Figlio di Dio? Cosa pensereste, venerabili fratelli, se in questo momento noi ci permettessimo di inviare Sua Santità Pio IX insieme a Sua Eccellenza Monsignor Plantier al Patriarca di Costantinopoli per indurlo a mettere fine allo scisma d’Oriente?

Ma c’è un altro fatto, ancor più importante. Un Concilio Ecumenico ebbe luogo a Gerusalemme per decidere intorno a questioni che dividevano i fedeli. Chi avrebbe dovuto convocare il Concilio, se S. Pietro fosse stato il papa? S. Pietro. Chi avrebbe dovuto presiederlo? S. Pietro, o il suo legato. Chi avrebbe dovuto promulgare i canoni? S. Pietro. Ebbene, nulla di tutto ciò è accaduto. L’apostolo fu presente al Concilio come tutti gli altri, eppure non fu lui a presiederlo, ma S. Giacomo e i decreti furono promulgati nel nome degli apostoli, degli anziani e dei fratelli (Atti 15:22-29).

Ora, mentre noi insegniamo che la chiesa è edificata su S. Pietro, S. Paolo, la cui autorità non può essere messa in dubbio, dice nella sua epistola agli Efesini (2:20), che essa è edificata sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Gesù Cristo stesso la pietra angolare. E lo stesso apostolo crede così poco alla supremazia di Pietro, che apertamente rimprovera tanto quelli che dicevano: “Io son di Paolo; io son d’Apollo”, quanto quelli che dicevano: “Io son di Pietro” (1° Corinzi, 1:12). Se questi fosse stato il vicario di Cristo, S. Paolo sarebbe stato ben lungi dal censurare così violentemente quelli che si dichiaravano appartenenti a S. Pietro.

Lo stesso apostolo, catalogando gli uffici della chiesa, menziona gli apostoli, i profeti, gli evangelisti, i dottori, i pastori (Efesini, 4:11). E’ giusto credere, miei venerabili fratelli, che S. Paolo, il grande apostolo dei Gentili, abbia dimenticato il primo di tali uffici, il papato, se questo fosse stato di istituzione divina? La dimenticanza mi appare impossibile,  come sarebbe quella di uno storico di questo concilio, che non dicesse una parola di S. Santità Pio Nono. (Alcune voci: Silenzio, eretico, silenzio!)

Moderatevi, venerabili fratelli, non ho ancora detto tutto; impedendomi di continuare, mostrereste al mondo di aver torto e di aver chiusa la bocca al più piccolo membro di quest’assemblea. Continuo.

L’apostolo Paolo non menziona in nessuna delle sue lettere il primato di S. Pietro. Se tale primato esisteva, se in una parola la chiesa aveva nel suo corpo un capo supremo, infallibile nell’insegnamento, avrebbe il grande apostolo dei Gentili trascurato di farne menzione? Ma che dico! Avrebbe dovuto scrivere una lunga lettera attorno a questo importantissimo soggetto. Quando veniva eretto l’edificio della nostra Dottrina poteva essere dimenticato il fondamento, l’architrave? Ora, a meno che non si ritenga per eretica la chiesa apostolica, ciò che noi non vorremo né oseremo dire, siamo costretti a convenire che la Chiesa non è mai stata né più bella, né più pura, né più santa, come nei giorni, nei quali non aveva il papa. (Voci: Non è vero. Non è vero.)

Monsignore de Laval non dica no, poiché se qualcuno di voi, venerabili fratelli, ardisse pensare che la Chiesa che ha oggi un papa per capo, è più ferma nella fede, più pura nei costumi della Chiesa Apostolica, lo dica apertamente in faccia all’Universo, per il fatto che questo è il centro, da cui le nostre parole volano da un polo all’altro. Proseguo.

Né negli scritti di S. Paolo e di S. Giovanni né in quelli di S. Giacomo ho trovato traccia o germe del potere papale. S. Luca, lo storico dei fatti missionari degli apostoli tace su questo importantissimo punto di cui, pure, se così come voi pretendete, avrebbe anche lui dovuto per forza trattare. Il silenzio di questi santi uomini, i cui scritti sono nel canone delle Scritture ispirate da Dio, qualora S. Pietro fosse stato papa, m’è sembrato insostenibile e impossibile, e tanto ingiustificabile quanto sarebbe se il Thiers, scrivendo la storia di Napoleone, avesse omesso il titolo di imperatore.

Sento là, davanti a me, un membro dell’assemblea che dice, mostrandomi a dito: “È un vescovo scismatico, introdottosi fra noi sotto falso nome.” No, no, venerabili fratelli, io non sono entrato in questa augusta assemblea, come un ladro per la finestra; ma anzi dalla porta come voi: il mio titolo di vescovo me ne dava il diritto, come la mi coscienza di cristiano m’impone parlare e dire quello che credo esser vero.

Quel che mi ha sorpreso e ha bisogno di dimostrazione è il silenzio di S. Pietro. Se l’apostolo fosse stato quello che noi diciamo, cioè vicario di Gesù Cristo in terra, è naturale che egli per primo avrebbe dovuto saperlo. E, se egli lo sapeva, com’è che neppure una volta ha agito da papa? Avrebbe potuto farlo il giorno della Pentecoste, quando pronunciò il suo primo discorso, e non lo fece; al concilio di Gerusalemme, e non lo fece; ad Antiochia, e non lo fece; nelle due lettere dirette alla chiesa, e non lo fece; immaginate voi un tal papa, venerabili fratelli, se S. Pietro fosse stato papa?

Se dunque si vuol sostenere che egli è stato papa, ne nasce la naturale conseguenza che bisogna del pari sostenere che non ha saputo di esserlo; ora io domando a chiunque ha testa che pensa e mente per riflettere, sono possibili queste due supposizioni?

Torno a dire che, mentre l’apostolo scriveva, la chiesa non pensò mai che potesse esservi un papa. Per poter sostenere il contrario, bisognerebbe del tutto ignorare gli scritti sacri.

Ma, d’altro canto, si dice: S. Pietro non venne a Roma? Non fu crocifisso con la testa all’ingiù? Non vi sono forse nella Città Eterna i pulpiti dai quali egli insegnò e gli altari sui quali celebrò messa? Che S. Pietro sia stato a Roma, venerabili fratelli, si trova in modo assai incerto nella sola tradizione ma, se egli fosse stato vescovo di Roma, come potreste voi dal suo episcopato ricavare la sua supremazia? Un dotto di primo ordine, lo Scaligero, non ha esitato dire, che il vescovato e la dimora di S. Pietro a Roma debbono essere posti fra le ridicole leggende. (Grida ripetute: Toglietegli la parola, toglietegli la parola! Discenda dall’ambone!)

Venerabili fratelli, son pronto a tacermi, ma non è più conveniente in un’assemblea, quale è la nostra, esaminar tutto, siccome lo comanda l’apostolo e credere ciò ch’è buono? Ma, venerabili, noi abbiamo un dittatore, davanti al quale tutti dobbiamo prostrarci e tacere, anche Sua Santità Pio IX e abbassare la testa. Questo dittatore è la storia.

Essa non è come la leggenda, di cui si è fatto quello, che il vasellaio fa dell’argilla: è il diamante che incide sul vetro parole incancellabili. Finora non mi sono appoggiato che su lei, e se non ho trovato traccia del papato nei giorni apostolici, mia non è la colpa, ma sua. Volete mettermi in stato di accusa per delitto di falso? Padroni di farlo.

Mi giungono dalla destra queste parole: Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia chiesa, Matteo 16. Fra poco, venerabili fratelli, risponderò a questo punto: ma prima di farlo, debbo presentarvi il risultato delle mie ricerche storiche.

Non trovando alcuna traccia di papato ai tempi degli apostoli, mi dissi: troverò qualcosa negli annali della chiesa. Ebbene, lo dico francamente: ho cercato un papa nei primi quattrocento anni e non l’ho affatto trovato.

Nessuno di voi, spero, dubiterà della grande autorità del santo vescovo di Ippona, il grande e beato Agostino. Questo pio dottore, onore e gloria della chiesa, fu segretario di un noto concilio. Ora, nei decreti di quella venerabile assemblea, si possono trovare queste significative parole: “Chiunque s’appellerà a quelli d’oltremare non sarà ricevuto nella comunione di alcuno in Africa”.

I vescovi africani riconoscevano così poco il vescovo di Roma da minacciare di scomunica chi avesse inteso rivolgersi a lui per qualunque ragione. Questi stessi vescovi, nel IV Concilio di Cartagine, tenutosi sotto Aurelio, vescovo di quella città, scrissero a Celestino, vescovo di Roma, per avvertirlo che non doveva ricevere appelli da vescovi, preti e chierici africani; non doveva inviare legati o commissionari; non doveva introdurre l’orgoglio umano nella Chiesa.

Che il patriarca di Roma abbia pensato fino dai primi tempi a trarre a sé tutta l’autorità, è un fatto evidente: ma è fatto del pari indubitato che egli non aveva la supremazia, che gli ultramontani gli attribuiscono: se l’avesse avuta, i vescovi d’Africa, S. Agostino il primo, avrebbero ardito proibire di appellare dai loro decreti al suo tribunale supremo?

Ammetto senza difficoltà che il patriarca di Roma teneva il primo posto: una legge di Giustiniano dice “Ordiniamo, dietro la definizione dei quattro concilii, che il santissimo papa della vecchia Roma sia il primo dei vescovi, e che l’altissimo arcivescovo di Costantinopoli, che è la nuova Roma, sia il secondo.”. Inchinati dunque alla supremazia del papa, mi direte.

Non siate si corrivi a questa conclusione, venerabili fratelli, per il fatto che la legge di Giustiniano ha scritto in fronte “dell’ordine delle sedute dei patriarchi”. Altra cosa dunque è la precedenzaaltra il potere di giurisdizione: così, per esempio, supponiamo che in Firenze vi fosse una riunione di tutti i vescovi del regno: la precedenza sarebbe data al primate di Firenze, come presso gli orientali è accordata al Patriarca di Costantinopoli, e in Inghilterra all’arcivescovo di Canterbury. Ma né il primo, né il secondo, né il terzo potrebbero dedurre dal posto che sarebbe loro assegnato, una giurisdizione sui loro colleghi.

La importanza dei vescovi di Roma proveniva, non da un potere divino, ma dalla considerazione della città, in cui avevano la loro sede. Monsignor Darboy non è superiore in dignità all’arcivescovo di Avignone: non per tanto, Parigi gli dà una considerazione che non avrebbe, se in vece di avere il suo palazzo sulle rive della Senna, lo avesse su quelle del Rodano. Quel che è vero nell’ordine religioso, lo è pure nel civile e politico: il prefetto di Firenze non è più prefetto di quello di Pisa: ma civilmente e politicamente ha una maggiore importanza.

Ho detto che il patriarca di Roma aspirò fino dai primi secoli al governo universale della chiesa. Sventuratamente vi giunse in appresso: ma certamente non lo aveva allora poiché, nonostante le sue pretese, l’imperatore Teodosio II. fece una legge con la quale stabilì che il patriarca di Costantinopoli aveva la medesima autorità che quello di Roma. Leg. Cod. de Scr. ecc.

I padri del concilio di Calcedonia posero il vescovo della antica e nuova Roma al medesimo ordine in tutte le cose, anche nelle ecclesiastiche. Canone 28.

Il sesto concilio di Cartagine proibì ai vescovi tutti di prendere il titolo di principe dei vescovi, o di vescovo sovrano.

Quanto al titolo di vescovo universale, che i papi presero più tardi, S. Gregorio I, credendo che i suoi successori non se ne sarebbero mai fregiati, scrisse queste notevoli parole: “Nessuno dei miei predecessori ha consentito di prendere questo nome profano, per il fatto che quando un patriarca si dà il nome di universaleil titolo di patriarca ne soffre di discredito. Lungi dunque dal cristiano il desiderio di darsi un titolo che lo discredita fra i suoi fratelli!”

Le parole di S. Gregorio sono dirette al suo collega di Costantinopoli, che pretendeva al primato nella chiesa. Il papa Pelagio II chiama Giovanni, vescovo di Costantinopoli, che aspirava al pontificato massimo, empio, e profano: “Non vi curate”, egli dice “del titolo di universaleche Giovanni usurpò illegalmente: che nessuno dei patriarchi prenda questo nome profano: per il fatto che, quale sventura non dovremo aspettarci, se fra i preti sorgono tali elementi? Si avvererebbe quello che è stato predetto. – È il re dei figli dell’orgoglio. (Pelagio II. lett. 13)

Queste autorità, e ne avrei cento altre di ugual valore, non provano esse, con chiarezza pari allo splendore del sole a mezzogiorno, che i primi vescovi di Roma non sono stati che molto tardi riconosciuti per vescovi universali e capi della chiesa?

E d’altra parte, chi non sa come dall’anno 225, in cui si tenne il primo concilio di Nicea, fino al 580 in cui si tenne il secondo ecumenico di Costantinopoli, su 1109 vescovi che assisterono ai sei primi concilii generali, non vi furono presenti che 19 vescovi occidentali?

Chi non sa che i concili erano convocati dagli imperatori, senza prevenire, e qualche volta contro la volontà del vescovo di Roma? Che Osio, vescovo di Cordova, presiedette il primo concilio di Nicea e ne redasse i canoni? Lo stesso Osio presiedette poi il concilio di Sardica, escludendone i legati di Giulio vescovo di Roma: non insisto di più, venerabili fratelli, e vengo a parlare del grande argomento, che ponete innanzi, per stabilire il primato del vescovo di Roma.

Per la pietrasulla quale la Santa Chiesa è fabbricata, voi intendete PietroSe fosse vero, la disputa sarebbe terminata: ma i nostri antenati, e certamente sapevano qualche cosa, non la pensavano come noi.

S. Cirillo, nel suo quarto libro sulla Trinità, dice “Io credo che, per la pietra, bisogna intendere l’incrollabile fede dell’apostolo”. S. Ilario, vescovo di Poitiers, nel suo secondo libro sulla Trinità dice “La pietra (petra) è la beata ed unica pietra della fede confessata per bocca di S. Pietro: ed è”, dice nel sesto libro della Trinità, “su questa pietra della confessione, che la chiesa è edificata.” “Dio”, dice S. Girolamo, nel 6° libro di S. Matteo, “ha fondato la sua chiesa su questa pietra ed è su questa pietra che l’apostolo Pietro è stato nominato.” Dopo lui, S. Crisostomo dice, nella sua 53° omelia sopra S. Matteo. “Su questa pietra edificherò la mia chiesa, cioè sulla fede della confessione: or qual era la confessione dell’apostolo? Eccola «Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente.»”.

Ambrogio, il santo arcivescovo di Milano, nel secondo capitolo agli Efesini, S. Basilio di Seleucia, ed i padri del Concilio di Calcedonia insegnano esattamente la medesima cosa.

Di tutti i dottori della antichità cristiana, S. Agostino è quello, che occupa uno dei primi posti nella Chiesa, per la scienza e santità. Ascoltate dunque ciò ch’egli scrive nel suo secondo trattato sulla prima lettera di S. Giovanni. “Che cosa vogliono dire le parole «Io edificherò la mia chiesa su questa pietra»? Su questa fede, su quello che è detto. Tu sei il Cristo, il figlio di Dio vivente.”

Nel suo 124° trattato sopra S. Giovanni, troviamo questa significantissima frase “Sopra questa pietra che tu hai confessato, io edificherò la mia chiesa, imperocchè Cristo era la pietra.

Il gran vescovo credeva tanto poco che la chiesa fosse fabbricata su S. Pietro, che diceva ai suoi fedeli nel suo 13 sermone. “Tu sei Pietro e su questa pietra che tu hai confessato, su questa pietra, che tu hai conosciuto dicendo – Tu sei Cristo, il figlio di Dio vivente – io edificherò la mia chiesa sopra me stesso, che sono il figlio di Dio vivente: io la edificherò su me, e non su te”.

Quello che S. Agostino pensava sopra questo celebre passo, era la opinione di tutta la cristianità del suo tempo. Dunque riassumendo, stabilisco:

1° Che Gesù ha dato agli apostoli il medesimo potere che a san Pietro;

2° Che gli apostoli non hanno mai riconosciuto in S. Pietro il vicario di Gesù Cristo e il dottore infallibile della chiesa;

3° Che S. Pietro non ha mai pensato di essere papa, e non ha mai agito da papa;

4° Che i concilii dei quattro primi secoli, mentre riconoscevano l’alto posto che il vescovo di Roma occupava nella Chiesa, appunto per cagione di Roma, non gli hanno accordato che una preminenza d’onore, mai un potere, nè una giurisdizione;

5° Che i SS. Padri nel famoso passo “Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa” non hanno mai inteso che la Chiesa fosse edificata su Pietro (super Petrum), ma sulla pietra (super petram), cioè sulla confessione della fede dell’apostolo.

Concluderò vittoriosamente con la storia, con la ragione, con la logica, col buon senso e con la coscienza cristiana, che Gesù Cristo non ha conferito alcuna supremazia a S. Pietro, e che i vescovi di Roma non son divenuti sovrani della Chiesa, se non che confiscando ad uno ad uno tutti i diritti dell’episcopato. (voci: Taccia lo sfacciato protestante, taccia!)

Io sono uno sfacciato protestante!… Nò, mille volte no!

La storia non è nè cattolica, nè anglicana, nè calvinista, nè luterana, nè armena, nè greca scismatica, nè ultramontana: ella è quello che è, cioè qualche cosa di più forte di tutte le confessioni di fede dei canoni dei concilii ecumenici.

Scrivete in falso contro di lei, se lo ardite: ma voi non potete distruggerla, come un mattone tolto dal Colosseo non lo farebbe cadere. Se ho detto qualche cosa che la storia dimostri in contrario, mi si faccia conoscere con la storia, e senza esitare un momento, farò onorevole ammenda: ma siate pazienti e vedrete che non ho detto tutto ciò che io volevo e dovevo: quando anche il rogo mi attendesse sulla piazza di S. Pietro, io non debbo tacere e mi è d’obbligo continuare.

Monsignor Dupanloup, nelle sue celebri Osservazioni su questo concilio del Vaticano, ha detto e con ragione, che se noi dichiariamo Pio IX infallibile, siamo per necessaria e naturale logica obbligati a ritenere infallibili tutti i suoi antecessori. Or bene! Venerabili fratelli, ecco la storia che alza la sua voce autorevole, per assicurarvi che alcuni papi hanno errato: avete un bel protestare, un negare, io vi dirò con quella:

Papa Vittore (192) approvò il montanismo, poi lo condannò.

Marcellino (296, 303) fu idolatra, entrò nel tempio di Vesta e offrì incensi alla dea. Voi direte: “Fu un atto di debolezza”, ma io risponderò: un Vicario di Gesù Cristo muore ma non diviene apostata.

Liberio (358) consentì alla condanna di Anatasio e fece professione di Arianismo, per esser richiamato dall’esilio e reintegrato nel suo seggio.

Onorio (625) aderì al monotelismo [2]: il padre Gratry lo ha alla evidenza dimostrato.

Gregorio I (578-90) chiama anticristo colui, che prende il nome di Vescovo universale, e al contrario Bonifacio III (607-8) si fa conferire questo titolo dal parricida imperatore Foca.

Pasquale II (1088-1099) ed Eugenio III (1145 – 1153) autorizzano il duello: Giulio II. (1509) e Pio IV. (1560) lo proibiscono.

Eugenio IV. (1431-39) approva il Concilio di Basilea e la restituzione del calice alle chiese di Boemia: Pio II. (1658) revoca la concessione.

Adriano II. (867-872) dichiara valido il matrimonio civile, Pio VII (1800-23) lo condanna. Sisto V (1585-1590) pubblica un edizione della Bibbia e ne raccomanda la lettura con una Bolla: Pio VII ne condanna la lettura.Clemente XIV (1700-21) abolisce l’Ordine dei Gesuiti, permesso da Paolo III: Pio VII lo ristabilisce.

Ma perché cercare delle prove così remote? Il nostro santo padre Pio IX, qui presente, nella sua bolla che dà le norme per il concilio, nel caso in cui egli morisse, mentre è aperto, non ha revocato tutto quello che in passato gli sarebbe contrario, anche quando provenisse da decisioni dei suoi predecessori? E certamente se Pio IX ha parlato ex cathedra, non è quando dal fondo del suo sepolcro impone le sue volontà ai sovrani della Chiesa.

Non terminerei più, Venerabili fratelli, se ponessi davanti ai vostri occhi le contradizioni dei papi nei loro insegnamenti. Se voi dunque proclamate l’infallibilità del papa attuale, bisognerà forzatamente, o che voi proviate ciò che è impossibile, che i papi non si sono contraddetti, oppure che dichiariate che lo Spirito Santo vi ha rivelato che  l’infallibilità papale non venne data che dal 1870. Avrete voi tanto ardimento?

I popoli passeranno indifferenti forse accanto a questioni teologiche, delle quali non intendono e non sentono l’importanza: ma per quanto siano indifferenti ai principii, non lo sono affatto ai fatti. Ora non v’illudete! Se decretate il dogma della infallibilità papale, i protestanti, nostri avversari, monteranno sulla breccia tanto più arditi, in quanto avranno contro di noi e in loro favore, la storia, mentre noi non avremo contro loro, che le nostre negative. Che cosa diremo loro quando faranno marciare davanti al pubblico i vescovi di Roma da Luca a sua santità Pio Nono?

Ah! se tutti fossero stati come Pio IX, noi trionferemmo su tutta la linea; ma ohimè! non è così..- (Grida: silenzio, silenzio! basta, basta!)

Non gridate, Monsignori! Temere la storia è darsi per vinti: e d’altronde, se faceste passare sopra di lei le acque del Tevere, non ne cancellereste una pagina. Lasciatemi parlare e sarò breve, per quanto comporta questo importante soggetto.

Il papa Vigilio (538) comprò il papato da Belisario, luogotenente dell’imperatore Giustiniano: è vero che, rompendo la promessa, non pagò nulla. È forse canonico questo mezzo di cingere la tiara? Il secondo Concilio di Calcedonia l’aveva formalmente condannato. In uno dei suoi canoni si legge “Che il vescovo, il quale ottiene il vescovato per danari, lo perda e sia degradato”.

Il papa Eugenio IV (1145) imitò Vigilio. San Bernardo, fulgida stella del suo secolo, rimproverò il papa dicendogli: “Potresti indicarmi alcuno in questa gran città di Roma, che ti abbia ricevuto per papa, senza che abbia ricevuto oro od argento?”. Un papa, Venerabili fratelli, che erige banco alle porte del tempio, sarà egli inspirato dallo Spirito Santo? Avrà diritto d’insegnare infallibilmente alla Chiesa?

Conoscete pur troppo la storia di Formoso, perchè io la renda più grave. Stefano XI fece disseppellire il suo corpo, vestirlo di abiti pontificali, e tagliategli le dita, con le quali dava la benedizione lo fece gettare nel Tevere, e lo dichiarò spergiuro e illegittimo. Egli poi fu dal popolo imprigionato, avvelenato e strangolato, ma vedete il giusto rimetter delle cose: Romano successore di Stefano e dopo lui, Giovanni X, riabilitarono la memoria di Formoso.

Ma direte, queste son favole, non storia. Favole! Andate Monsignori, andate alla biblioteca vaticana, e leggete il Platina, lo storico del papato e gli annali del Baronio (anno 897).

Vi sono dei fatti che vorremmo cancellare, per l’onore della santa Sede; ma quando si tratta di definire un dogma, che può provocare un gran scisma in mezzo di noi, l’amore che portiamo alla nostra venerabile madre Chiesa cattolica, apostolica e romana, c’impone silenzio. Continuo.

Il dotto Cardinale Baronio, parlando della corte papale, dice (prestate attenzione Venerabili fratelli, a queste parole): “Qual era in quel tempo la faccia della Chiesa romana, e come obbrobriosa, non dominando a Roma che onnipossenti cortigiane? Esse erano quelle che davano, permutavano, toglievano vescovati, e orribil cosa a credersi, i loro amanti, i falsi papi, venivan posti sul trono di san Pietro. (Baronio anno 912).”

Quelli erano falsi papi, non veri, si replica, e sia pure: ma in tal caso, Venerabili fratelli, se per cinquanta anni la sede di Roma non è stata occupata che da antipapi, come troverete voi il filo della successione pontificale?

La chiesa ha ella potuto fare a meno per un secolo e mezzo del suo capo, e trovarsi acefala? Vedete! La maggior parte di questi antipapi figurano nell’albero genealogico del papato, e certamente bisognava bene che fossero tali, quali Baronio li dipinge, perchè Genebrardo, il grande adulatore dei papi, abbia osato dire nelle sue cronache (anno 901): “Questo secolo è sventurato, per il fatto che, per 150 anni circa, i papi sono del tutto decaduti dalle virtù dei loro antecessori, essendo piuttosto apostati, che apostolici.”

Capisco come l’illustre Baronio abbia dovuto, narrando questi fatti dei vescovi di Roma, sentirsi arrossire il volto. Parlando di Giovanni XI (931), bastardo di papa Sergio e di Marozia, egli scriveva queste parole nei suoi annali. “La santa Chiesa, cioè la romana, ha dovuto vilmente esser calpestata da un tal mostro”. Giovanni XII (946) eletto papa a 18 anni per influenza di cortigiane, non era certo meglio del suo antecessore.

Deploro, Venerabili fratelli, di agitare tanto laidume: mi taccio di Alessandro VI, padre e amante di Lucrezia; trasvolo su Giovanni XXII (1316), che negava l’immortalità dell’anima e fu deposto dal santo concilio ecumenico di Costanza.

Alcuni asseriscono che questo concilio non fosse che un concilio particolare. E sia pure: ma se gli ricusate ogni autorità, per essere logicamente conseguenti, bisogna tenere per illegale la nomina di Martino V (1417). Che cosa avverrà allora della successione papale? Potrete voi trovarne il bandolo?

Non parlo degli scismi che hanno disonorato la chiesa. In codesti sventurati giorni, la sede di Roma era occupata da due, e qualche volta da tre competitori: quale di questi era il vero papa?

Riassumendomi dico, se voi decretate l’infallibilità dell’attuale vescovo di Roma, vi sarà necessario stabilire l’infallibilità di tutti i precedenti, senza escluderne alcuno: ma lo potrete voi, quando la storia è là, che stabilisce con chiarezza eguale a quella del sole, che i papi hanno errato nei loro insegnamenti? Lo potrete voi, sostenendo che dei papi avari, incestuosi, omicidi, simoniaci sono stati vicari di Gesù Cristo? Oh! Venerabili fratelli, sostenere tale enormità, sarebbe tradire Cristo peggio di Giuda: sarebbe gettargli del fango nel volto. (Grida: Giù dal pulpito! zitto, silenzio l’eretico!)

Venerabili fratelli, voi gridate: ma non sarebbe cosa più dignitosa pesare le mie ragioni e le mie prove sulla bilancia del santuario? Credetemi, la storia non si rifà: ella è là e lo sarà in eterno per protestare energicamente contro il dogma della infallibilità papale. Voi lo proclamerete all’unanimità, ma meno un voto, il mio!

I veri fedeli, Monsignori, hanno gli occhi su noi, attendono da noi il rimedio agli innumerevoli mali che disonorano la Chiesa: li inganneremo nelle loro speranze? Quale non sarebbe innanzi a Dio la nostra responsabilità, se ci lasciassimo fuggire questa solenne occasione che Dio ci ha data, per render salda la vera fede?

Afferriamola, fratelli: armiamoci di un santo coraggio, facciamo un violento e generoso sforzo, torniamo agl’insegnamenti apostolici, per il fatto che, fuori di questi, non abbiamo che errori, tenebre e false tradizioni.

Avvaliamoci della nostra ragione e della nostra intelligenza, per avere gli apostoli e profeti come nostri soli maestri infallibili, riguardo alla domanda per eccellenza: “Che mi convien fare per essere salvato?”. Ciò deciso, noi avremo posta la base della nostra dogmatica.

Fermi ed immobili sulla roccia stabile e incrollabile della Santa Scrittura, divinamente inspirata, fiduciosi andremo innanzi al secolo, e come l’apostolo Paolo, in presenza dei liberi pensatori, non vorremo saper altro che Gesù Cristo, e Gesù Cristo crocifisso: lo conquisteremo con la predicazione della follìa della croce, come Paolo conquistò i retori di Grecia e di Roma, e la Chiesa romana avrà il suo glorioso 89. (Grida clamorose – Abbasso, fuori il protestante, il calvinista, il traditore della chiesa!)

Le vostre grida, Monsignori, non mi spaventano: se il mio dire è caldo, la testa è fredda: io non sono nè di Lutero nè di Calvino, nè di Paolo, nè di Apollo, ma di Cristo. (Nuove grida – Anatema, Anatema all’apostata!)

Anatema! Monsignori, Anatema! Voi sapete bene che non protestate contro di me, ma contro i santi apostoli, sotto la cui protezione vorrei che questo concilio ponesse la Chiesa. Ah! Se coperti dei loro sudarii, uscissero dalle loro tombe, vi parlerebbero essi un linguaggio differente dal mio?

Che cosa direste loro, quando coi loro scritti vi dicessero che il papato ha deviato dal Vangelo del figlio di Dio, che essi con tanto coraggio hanno predicato e confermato col loro generoso sangue? Ardireste dir loro: noi preferiamo ai vostri insegnamenti quelli dei nostri papi, dei nostri Bellarmino, e Ignazio di Loiola? No, no, mille volte no, a meno che non abbiate chiuse le orecchie per non udire, gli occhi bendati per non vedere, l’intelligenza offuscata per non intendere.

Ah! Se colui che regna nei cieli vuole aggravare su di noi la sua mano, siccome fece sul Faraone, non ha bisogno di permettere ai soldati di Garibaldi di scacciarci dalla città eterna, non ha che lasciar fare di Pio IX un Dio, come abbiamo fatto della Beata Vergine una dea.

Fermatevi fermatevi, Venerabili fratelli, sul pendio odioso e ridicolo, su cui vi siete posti. Salvate la Chiesa dal naufragio che la minaccia, domandando alle sole sante scritture la regola di fede, che dobbiamo credere e professare. Ho detto. Dio mi aiuti!

Queste ultime parole furono ricevute con i più plateali segni di disapprovazione. Tutti i partecipanti al Concilio si alzarono, e molti uscirono dalla sala, mentre un buon numero di Italiani, Americani, Tedeschi, e un piccolo drappello di Francesi ed Inglesi circondarono il coraggioso oratore, gli strinsero fraternamente la mano, e gli mostrarono di essere concordi nel suo modo di pensare. Il discorso non produsse pero’ gli effetti sperati: secondo lo storico Giacomo Martina, su circa 600 partecipanti al Concilio la maggioranza infallibilista, fra estremisti e moderati, sarebbe stata all’inizio di almeno 450 padri, saliti poi a 480 e giunti nella votazione finale a 533, mentre la minoranza poteva contare all’inizio un 150 padri, scesa poi a 110 e infine a una sessantina. Il dogma venne quindi approvato, ma non all’umanimità.

Note:

[1] Ultramontanismo: corrente che riteneva che al Papa spettasse il primato assoluto sulle chiese nazionali e sui vari ordini, il cui nome derivava dal fatto che il Papa risiedesse oltre le Alpi rispetto a Francia e Germania.

[2] Monotelismo: dottrina eretica che sosteneva che in Cristo risiedesse una sola volontà, poiché in lui non vi fu mai ribellione della parte umana verso quella divina.