III DOMENICA DI AVVENTO - ANNO C
Commento al Vangelo: Lc 3,10-17 - Il dito di Giovanni

Mentre leggiamo queste parole, duemila anni dopo, siamo tentati di pensare che tutto ciò che Giovanni preannuncia sia il culmine di un progetto divino perfettamente preordinato. Potremmo pensare che la storia sia stata scritta a tavolino, in un disegno cosmico che si realizza giorno dopo giorno, tra il continuo susseguirsi degli eventi. E così, nella nostra immaginazione, il sipario della storia si apre, e l’"annunciatore" Giovanni proclama l’arrivo imminente di un Messia che, con un battesimo diverso, darà compimento alla profezia: un "battesimo in Spirito Santo e fuoco", un atto che segnerà l’inizio della salvezza definitiva per l’uomo.

Ma qual è la vera natura di questo messaggio? È possibile che Giovanni e Gesù siano davvero così come ce li presentano le tradizioni ecclesiastiche e i Vangeli? In effetti, dietro la grandezza dei testi sacri, ci nasconde un’incredibile fatica umana: quella di tentare di comprendere, di interpretare e di tradurre le parole di Dio. La Bibbia, e in particolare Luca, non solo racconta la storia di Giovanni e di Gesù, ma ci invita a riflettere sul significato di quella storia, di quella missione. Questo è il compito che ci affida, un compito che coinvolge la nostra quotidianità. Non si tratta solo di un esercizio di fede passiva, ma di un impegno continuo e profondo di comprensione e di azione. La questione non riguarda solo l’accettazione di un dogma stabilito, ma il tentativo quotidiano di portare il messaggio di Giovanni, quello di Gesù, nella nostra vita e nel nostro mondo. Non possiamo relegare la fede a una verità definitiva che ci giunge dall’alto senza la nostra partecipazione, senza un costante interrogarci: "Che cosa vogliono dirmi queste parole oggi?" Non basta aderire ciecamente a una tradizione secolare, ma bisogna sentire la necessità di comunicare la "buona notizia" a noi stessi e agli altri, ogni giorno.

In questo contesto, Giovanni Battista non si presenta come una figura isolata o una voce solitaria. Lui non è un "specialista" dell’annuncio, ma un uomo del popolo, che annuncia la buona notizia al popolo stesso. Luca, con la sua narrazione, ci dice che il messaggio non è destinato solo a un ristretto gruppo di persone, ma alla totalità della comunità. La fede non è un segreto custodito da pochi, ma una realtà che deve essere condivisa da tutti. Il popolo è il destinatario e il custode del messaggio, e non ci sono intermediari esterni o "esperti" che possano sostituirlo. La Tradizione, con il suo meccanismo di gerarchizzazione, ha spesso separato chi annuncia dalla comunità che riceve il messaggio, creando una distanza che ha reso la fede un fatto privato, individuale e rituale. Ma Giovanni e Gesù ci ricordano che la vera fede è quella che si vive insieme, quella che si trasmette attraverso la condivisione e l’impegno reciproco. Nel messaggio di Giovanni, infatti, c’è una chiamata alla giustizia sociale e alla solidarietà. Egli insegna a chi ha molto a condividere con chi ha poco. Insegna a chi esercita il potere, come i pubblicani e i soldati, a usare il loro ruolo per il bene comune, senza abuso, senza prepotenza. Giovanni invita ogni membro della comunità a fare la propria parte, a vivere la giustizia non come un fatto isolato, ma come un atto collettivo che coinvolge tutti. La giustizia non è solo una questione di norme, ma di relazioni. Non si tratta solo di rispettare leggi e regole, ma di costruire una comunità dove ciascuno contribuisce al benessere dell’altro.

Mentre Giovanni invita alla giustizia e alla solidarietà, il suo messaggio si distingue da qualsiasi altro predicatore del suo tempo. Non si limita a chiedere al popolo di comportarsi bene, ma preannuncia l’arrivo di uno che avrà il potere di purificare ogni cosa: "Egli vi battezzerà con Spirito Santo e fuoco". Queste parole alludono a una purificazione profonda, che non riguarda solo il corpo o l’aspetto esteriore, ma la trasformazione radicale del cuore e della vita. Giovanni riconosce la propria impotenza di fronte a ciò che sta per accadere. Lui è solo il precursore, colui che prepara la strada, ma il Messia che sta per arrivare avrà un potere molto più grande. Giovanni, umilmente, afferma: "Io non sono degno di sciogliere il legaccio dei suoi sandali". Questa frase rivela la consapevolezza della sua limitatezza di fronte alla grandezza del Messia. Il battesimo che lui offre è un atto di purificazione esteriore, ma quello che Gesù porterà sarà qualcosa di più profondo: un cambiamento interiore che coinvolgerà tutta l’umanità.

Il battesimo in Spirito Santo e fuoco preannunciato da Giovanni è l'inizio di una nuova era, in cui la "legge" di Dio non sarà più una serie di comandamenti esterni, ma una legge scritta nel cuore di ogni uomo. Gesù, con la sua vita e il suo insegnamento, darà forma a questa legge dell’amore, che diventa il fondamento della comunità cristiana. La fede non si misura più con pratiche esterne o con una serie di doveri imposti, ma con il cuore che si apre all’amore incondizionato per Dio e per il prossimo. Gesù, portando il battesimo nello Spirito Santo, non si limita a purificare l’uomo, ma lo trasforma radicalmente, lo rende capace di vivere una vita di amore, di compassione e di giustizia. Ecco perché il "battesimo" di Gesù è qualcosa di più grande e profondo rispetto a quello di Giovanni. La sua "buona notizia" è quella che invita ogni uomo e ogni donna a vivere secondo la legge dell’amore, che è universale e senza confini.

L’evangelo di Luca, come tutti gli altri Vangeli, ci invita a vedere oltre le parole, a comprendere il significato profondo di ciò che viene annunciato. Le parole di Giovanni sono il "dito" che indica la "luna", la verità ultima che è l’amore di Dio. La luna rappresenta la legge dell’amore che ci guida, che è scritta nel cuore di ciascuno di noi e che Gesù ci ha insegnato a vivere nella comunità. La vera conversione non è un atto esteriore, ma un cambiamento profondo che nasce dall’interno e che si riflette nelle nostre azioni quotidiane. Ogni giorno, siamo chiamati a rispondere alla domanda "che dobbiamo fare?". E le risposte che troviamo, se sono autentiche, non riguardano solo noi stessi, ma il nostro impegno per la giustizia, la solidarietà e la costruzione di una comunità basata sull’amore reciproco. La conversione è un cammino collettivo, che deve essere vissuto insieme. La buona notizia non è solo una verità che ci viene annunciata, ma una verità che dobbiamo annunciare a vicenda, ogni giorno, con le parole e con le azioni. La conversione, quindi, inizia con un impegno pratico, che può anche tradursi in lotte sociali, in movimenti di protesta, in difesa dei diritti e della giustizia. La fede cristiana, in questo senso, non si limita a una dimensione spirituale, ma si incarna nel quotidiano, nella lotta per un mondo più giusto. Chi vive come parte di una comunità, come popolo, è veramente destinatario della buona notizia che Gesù ci ha annunciato. Il messaggio di Luca, e in definitiva quello di Gesù, ci invita a vivere insieme, a testimoniarci l’amore che ci è stato donato e a lottare per un mondo migliore.

La figura di Giovanni e la sua missione sono quindi una preparazione, un richiamo alla conversione, ma la vera "buona notizia" è quella che Gesù ci annuncia con la sua vita: l’amore come legge fondamentale dell’esistenza umana. Questa è la vera essenza del Vangelo, una notizia che deve essere vissuta, praticata e annunciata in ogni aspetto della nostra vita. La domanda "che dobbiamo fare?" continua a risuonare oggi, e la risposta che ci offre il Vangelo è quella di vivere secondo l’amore che Gesù ha testimoniato. E così, ogni giorno, possiamo continuare a essere parte del popolo che accoglie e trasmette la buona notizia dell’amore di Dio.

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