XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B
Commento a Mc 4,26-34: Chi ha orecchie per intendere intenda
Oggi riflettiamo sul passo del Vangelo di Marco, capitolo 4, versetti 26-34, dove Gesù ci parla del Regno di Dio attraverso due parabole: quella del seme che cresce da solo e quella del granello di senape. Questi insegnamenti non sono solo una guida spirituale, ma anche una strategia rivoluzionaria per affrontare le difficoltà della nostra vita quotidiana con fede e determinazione.
Gesù, con la sua abitudine di parlare in parabole, sapeva bene che il messaggio del Regno di Dio era rivoluzionario e potenzialmente sovversivo. Le parabole, infatti, non sono semplici storie, ma strumenti di rivelazione che richiedono riflessione e discernimento. È significativo che Gesù spiegasse tutto in privato ai suoi discepoli, sottolineando l'importanza della comprensione profonda per chi desidera davvero seguirlo.
Che Gesù fosse un personaggio straordinario è evidente da diversi indizi nei Vangeli. Marco ci racconta (4,36): «Con la gente parlava sempre in parabole; quando però si trovava con i suoi discepoli spiegava loro ogni cosa». Questo modo di agire, quasi cospiratore, evidenzia la consapevolezza di Gesù riguardo alla natura sovversiva del suo messaggio. In pubblico, parlava per immagini, lasciando che solo chi aveva "orecchie per intendere" potesse davvero comprendere il significato profondo delle sue parole.
La parabola del seme che cresce da solo ci insegna a fidarci del processo divino. Gesù dice che un uomo getta il seme nel terreno, poi dorme e si sveglia, e il seme germoglia e cresce senza che lui sappia come. Questo ci ricorda che il Regno di Dio cresce spesso in modi invisibili e misteriosi, al di là del nostro controllo. Anche quando non vediamo risultati immediati, siamo chiamati a fidarci che Dio sta operando nel segreto del cuore umano e nella storia.
La strategia che Gesù suggerisce per costruire il Regno di Dio, descritta da Marco (4,26-30), risuona con il criterio gramsciano dell’ottimismo della volontà. Anche se tutto sembra essere contro di noi, non dobbiamo arrenderci alla disperazione. Dobbiamo continuare a seminare con fede, anche quando non vediamo immediatamente i frutti del nostro lavoro. Questo ottimismo non è cieco, ma radicato nella speranza che il bene che seminiamo porterà frutto a suo tempo.
In linguaggio moderno, la parabola potrebbe suonare così: «Tu non sarai così stolto da spargere le sementi a caso, senza badare a dove cadono; ma non sarai nemmeno tanto stolto da non sapere che non tutti i semi germoglieranno, perché così è fatta la vita. Non per questo rinuncerai a seminare; se per tale motivo tutti/e rinunciassero a seminare non spunterebbero più piante, né alberi e nessuna pianta di senape sorgerebbe. Tu fa’ quel che puoi al meglio che puoi e non preoccuparti se sarai tu o altri a raccogliere, perché nella vita ci vuole sia chi semina sia chi raccoglie. Se non raccoglierai tu, lo farà chi verrà dopo di te».
La seconda parabola, quella del granello di senape, ci mostra come anche i piccoli inizi possano avere grandi conseguenze. Il granello di senape è il più piccolo di tutti i semi, ma quando cresce, diventa un albero grande, dove gli uccelli possono fare il nido. Questo ci insegna che anche le nostre azioni più piccole e apparentemente insignificanti possono contribuire grandemente al Regno di Dio. Non dobbiamo mai sottovalutare l'importanza dei nostri piccoli gesti di amore, giustizia e misericordia.
Guardando il mondo intorno a noi, vediamo molte sfide: povertà, ingiustizie, conflitti. Spesso, di fronte a queste enormi difficoltà, possiamo sentirci impotenti e tentati di arrenderci. Tuttavia, il messaggio di Gesù ci invita a non essere indifferenti. Gramsci ci ricorda che l'indifferenza è il peso morto della storia. Come cristiani, siamo chiamati a essere attivi, a fare la nostra parte per il bene comune, anche se sembra poco.
Nel cristianesimo non c'è spazio per l'ignavia, quella pigrizia morale che ci porta a voltare lo sguardo dall'altra parte. Siamo chiamati a essere partecipi e a impegnarci, a seminare il bene senza preoccuparci se vedremo noi stessi i frutti del nostro lavoro. Dio vede e conosce ogni nostro sforzo e, nella sua provvidenza, farà germogliare ogni seme che abbiamo piantato.
San Paolo di Tarso ci esorta con l'espressione "spes contra spem" – sperare contro ogni speranza. Anche quando tutto sembra andare storto, dobbiamo mantenere la speranza viva. Questa speranza è una forza potente che ci spinge a continuare a lavorare per il bene, anche contro le avversità. È un invito a battere il pessimismo della ragione con l'ottimismo della volontà, a credere che, nonostante tutto, il bene può prevalere.
Se guardiamo oltre i nostri confini, vediamo un mondo pieno di conflitti e tragedie. La situazione al confine con l'Europa, il Medio Oriente, in Siria, in Sud Sudan e nel Congo ci ricorda quanto sia fragile la pace e quanto sia necessario il nostro impegno per la giustizia. Tutte le Chiese invitano a pregare per queste terre martoriate, ma la preghiera deve essere accompagnata dall'azione. Non possiamo permetterci di essere indifferenti.
L'indifferenza è una forma di abulia, di parassitismo, di vigliaccheria, come dice Gramsci. È un peso morto nella storia, un'assenza di vita vera. Come cristiani, siamo chiamati a essere partigiani del bene, a lottare contro l'ingiustizia e a impegnarci per gli altri. Ignavia è voltare la faccia dall'altra parte, è dire che non c'è niente da fare, è aspettare che altri facciano ciò che noi stessi dovremmo fare.
In conclusione, ricordiamo che siamo chiamati a seminare il bene con fede e speranza. Anche se non vedremo subito i frutti del nostro lavoro, Dio opera nel segreto e farà crescere ciò che abbiamo seminato. Non cediamo all'indifferenza, ma impegnamoci con tutto il cuore per costruire il Regno di Dio, un seme alla volta, fiduciosi che il nostro impegno farà la differenza nel tempo.
(Questo contenuto è di proprietà della Chiesa Vetero Cattolica Riformata)