Il ministro ordinato e i simboli esteriori
Nella società il presbitero è spesso riconosciuto attraverso simboli esteriori: la talare nera o il colletto clericale. Questi elementi, nel tempo, hanno assunto un valore identificativo del ministro ordinato, non solo cattolico-romano. Ma è davvero necessario un segno distintivo per indicare chi esercita il presbiterato? La risposta, dal punto di vista teologico e pastorale, è no.
Fin dalle origini del cristianesimo, non vi era un abbigliamento specifico che distinguesse gli apostoli, i discepoli e le discepole dagli altri membri della società. Uomini e donne vestivano con tuniche di lino o lana, coperte da mantelli o scialli per proteggersi dalle intemperie. Non vi erano segni esteriori che marcassero una differenza tra chi annunciava il Vangelo e chi lo riceveva. Questa assenza di simboli distintivi sottolineava un principio fondamentale della comunità cristiana primitiva: l’uguaglianza tra i credenti e la fraternità di chi era alla sequela di Cristo. Il ministero non si identificava con un abito, ma con la testimonianza di vita e il servizio alla comunità.
Le Scritture offrono numerosi spunti su questo tema. Gesù stesso, inviando i suoi discepoli, li esorta a non portare con sé nulla di superfluo: "E disse loro: 'Non prendete nulla per il viaggio: né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non abbiate due tuniche ciascuno'" (Lc 9:3). Pietro invita a una bellezza interiore piuttosto che a un’attenzione eccessiva per l’apparenza esteriore: "Il vostro ornamento non sia quello esteriore: capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti; ma l’essere nascosto del cuore con la incorruttibilità di uno spirito dolce e pacifico, che è prezioso davanti a Dio." (1Pt 3:3-4). E Gesù stesso ricorda che la vera ricchezza non sta nell’abito, ma nella fiducia in Dio: "E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro." (Mt 6:28-29).
Nella Chiesa vetero-cattolica riformata, la scelta di non utilizzare segni distintivi si fonda su una visione del ministero basata sulla sostanza piuttosto che sulla forma. Evitare simboli che possano essere percepiti come segni di autorità centralizzata o gerarchica è una scelta coerente con la struttura sinodale della Chiesa.
Il presbitero è riconoscibile non per l’abito che indossa, ma per il servizio che svolge, la parola che annuncia, la comunità che accompagna. Il suo essere ministro di Cristo non è definito da un simbolo esteriore, ma dalla sua testimonianza di fede, di carità e di vicinanza ai fratelli e alle sorelle.
La Chiesa non è chiamata a creare distanze attraverso abiti o simboli, ma a costruire ponti. In questa prospettiva, il ministero presbiterale trova la sua autentica espressione nel servizio umile e nell’annuncio del Vangelo, senza necessità di segni esteriori per affermare la propria identità.
Fin dalle origini del cristianesimo, non vi era un abbigliamento specifico che distinguesse gli apostoli, i discepoli e le discepole dagli altri membri della società. Uomini e donne vestivano con tuniche di lino o lana, coperte da mantelli o scialli per proteggersi dalle intemperie. Non vi erano segni esteriori che marcassero una differenza tra chi annunciava il Vangelo e chi lo riceveva. Questa assenza di simboli distintivi sottolineava un principio fondamentale della comunità cristiana primitiva: l’uguaglianza tra i credenti e la fraternità di chi era alla sequela di Cristo. Il ministero non si identificava con un abito, ma con la testimonianza di vita e il servizio alla comunità.
Le Scritture offrono numerosi spunti su questo tema. Gesù stesso, inviando i suoi discepoli, li esorta a non portare con sé nulla di superfluo: "E disse loro: 'Non prendete nulla per il viaggio: né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non abbiate due tuniche ciascuno'" (Lc 9:3). Pietro invita a una bellezza interiore piuttosto che a un’attenzione eccessiva per l’apparenza esteriore: "Il vostro ornamento non sia quello esteriore: capelli intrecciati, collane d’oro, sfoggio di vestiti; ma l’essere nascosto del cuore con la incorruttibilità di uno spirito dolce e pacifico, che è prezioso davanti a Dio." (1Pt 3:3-4). E Gesù stesso ricorda che la vera ricchezza non sta nell’abito, ma nella fiducia in Dio: "E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro." (Mt 6:28-29).
Nella Chiesa vetero-cattolica riformata, la scelta di non utilizzare segni distintivi si fonda su una visione del ministero basata sulla sostanza piuttosto che sulla forma. Evitare simboli che possano essere percepiti come segni di autorità centralizzata o gerarchica è una scelta coerente con la struttura sinodale della Chiesa.
Il presbitero è riconoscibile non per l’abito che indossa, ma per il servizio che svolge, la parola che annuncia, la comunità che accompagna. Il suo essere ministro di Cristo non è definito da un simbolo esteriore, ma dalla sua testimonianza di fede, di carità e di vicinanza ai fratelli e alle sorelle.
La Chiesa non è chiamata a creare distanze attraverso abiti o simboli, ma a costruire ponti. In questa prospettiva, il ministero presbiterale trova la sua autentica espressione nel servizio umile e nell’annuncio del Vangelo, senza necessità di segni esteriori per affermare la propria identità.
(Questo contenuto è di proprietà della Chiesa Vetero-Cattolica Riformata)