Commento al Vangelo Mc 1,7-11
Siamo di nuovo di fronte a Giovanni, il Battista, e questa volta poniamo la nostra attenzione a quel “dopo di me”. Sia Giovanni sia Gesù entrano nella storia dell’umanità, il primo nel deserto e il secondo in Galilea, predicando. Se Giovanni annuncia la rinascita, Gesù ci presenta il messaggio evangelico per conformarsi alla Parola, ma entrambi ci invitano a convertirci e cambiare la nostra vita. Ormai è arrivato il tempo propizio per costruire il regno di Dio. Dopo il battesimo con l’acqua vi sarà quello con Spirito ad opera di Gesù e confermato da Dio (“una voce dai cieli”). Queste raffigurazioni ci evidenziano la grande fede della comunità scrivente e delle prime comunità nel rabbì Gesù che aveva sconvolto e rinnovato le loro vite. Il battesimo con acqua è un rito che coinvolge la comunità e le testimonia la scelta di conversione di un essere umano che si mette al servizio della stessa comunità. La voglia di rinnovare la propria vita e conformarsi al Vangelo, con l’atto del battezzarsi è sigillata. Si dovrebbe tende a battezzare adulti coscienti delle responsabilità che ci si assume di fronte alla comunità e a Dio. Agostino impose che il sacramento del Battesimo, fino ad allora visto come un entrare a far parte di una comunità cristiana, vivente alla sequela della Parola, diventasse un rito per i bambini affinché cancellasse il peccato originale fino a diventare un’usanza ancora oggi. La chiesa romana ha tentato di impossessarsi di questo sacramento e renderlo un obbligo per appartenere a una realtà ed “essere obbediente e sottomesso ai capi della Chiesa” (Catechismo della Chiesa Cattolico Romana, GPII), ma ad oggi è cascato il castello di sabbia. Sembra che la Provvidenza e il Battista ci vedessero più lungo di noi: l’acqua è diventata quindi con i secoli il mezzo per riempire i registri parrocchiali, illudendo la gente di una salvezza che ci è garantita già da Cristo stesso. Conviene scrollarsi dalla credenza che il battesimo, come un rito magico, cancelli fantomatici peccati originali dai bambini. L’adesione al messaggio evangelico e l’impegno di vivere nella comunità dei credenti è una cosa seria da non prendere sottogamba. Così anche il sacramento della riconciliazione deve diventare la presa di coscienza della nostra umanità e non l’imposizione di un’istituzionalità. Gesù ci invita a indossare un nuovo abito praticando il battesimo che avviene “per mezzo dello Spirito Santo”: mettere in discussione la nostra fede e la nostra autenticità al messaggio evangelico. Oltre al segno esteriore dell’acqua oggi dobbiamo riconoscere se davvero il cambiamento, che sta avvenendo nella nostra vita, è frutto dell’azione di Dio, di quello Spirito, Amore, Dono che ci parla e ci indica la strada dell’amore, dell’uguaglianza e della libertà. Il battesimo con lo Spirito è una scelta personale che avviene ogni giorno, sempre in cambiamento. Per quanto nei Vangeli non si racconta mai di un Gesù che battezza, la comunità di Marco fa sì che Gesù si faccia battezzare da Giovanni con l’acqua del Giordano. Questa è la consapevolezza dell’umanità di Cristo che si impermea con il suo essere Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, di un Dio che assume su di sé la condizione umana. La parola del Battista e la voce che proviene dai cieli annunciano la manifestazione della grandezza di un Dio umano: “Tu sei il mio Figlio diletto; in te mi sono compiaciuto”.
L'insegnamento che Gesù che ha lasciato e che ci è tramandato dai discepoli e dalle discepole è la sua concretezza di vita: amare e seminare amore, pronto a ridare vita con la sua Parola. E a noi ci è dato questo mandato: camminare nelle vie della nostra società, seguendo le orme del Messia, per essere figli diletti di un Dio che si rende visibile nella semplicità e sincerità dell'essere umano e che in noi si compiace.
Non serve solo il battesimo d'acqua dunque per essere un vero figlio di Dio, ci vuole quello dello spirito d’amore che si manifesta in ogni modo e forma autentica, quell’amore caratterizzato da relazioni sane, consapevoli della nostra debolezza. L’acqua ci tocca e se ne va, lo Spirito entra e non se ne va finché lo vogliamo noi. Gesù ci invita a costruire comunità sui suoi insegnamenti e non su leggi inventate da noi stessi. Il Regno a cui si riferisce il Vangelo non riguarda il “dopo di noi”, ma l’adesso, il presente in cui lo Spirito ci rende vivi e vigilanti in mezzo alle strade della società. Dobbiamo iniziare a creare comunità lontane dai pregiudizi nei confronti del prossimo, sostenendoci a vicenda. In queste comunità lo Spirito entra e opera, come in At 2, indisturbato e in silenzio. Il vangelo stesso ci invita a non voler vedere i frutti subito, essi li raccogliamo tempo dopo. Queste comunità si fondano sull'insegnamento evangelico e ad esse Gesù riconoscere il potere “di legare e di sciogliere” (Mt 18,18 e Gv 20,23). Anche su questo la chiesa istituzione ha equivocato facendo di tutta l'erba un fascio e si è fatta posseditrice di Dio. Al vangelo non importa la maggioranza, il potere e la fama, ma la quotidianità vissuta secondo la Parola.
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