XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO B
Commento al Vangelo: Mc 10,17-31 - Basta osservare la legge?

La pericope di oggi è particolarmente ricca di significato e apre la strada a una profonda riflessione su vari aspetti della vita spirituale e delle relazioni umane. Il dialogo tra Gesù e il giovane ricco, la difficoltà di entrare nel Regno di Dio, e il concetto di povertà e persecuzione, ci invitano a guardare oltre la semplice osservanza della legge, per capire cosa significa realmente seguire Cristo. Il cammino che Gesù propone va ben oltre le regole, richiedendo un cambiamento radicale del cuore e della mentalità.

Comandamenti e reciprocità nelle relazioni

Il capitolo 10 del Vangelo di Marco inizia con una discussione tra Gesù e i farisei riguardo la legge di Mosè, in particolare sulla questione del ripudio della moglie. I farisei cercavano di mettere Gesù alla prova, chiedendogli se fosse lecito a un uomo ripudiare la propria moglie. Questa domanda tocca un aspetto centrale della legge mosaica, che consentiva agli uomini di sciogliere il vincolo matrimoniale con un atto di volontà. Tuttavia, Gesù va oltre la norma legale e invita i suoi interlocutori a riflettere su un principio più profondo: la reciprocità e l’indissolubilità delle relazioni.

Nei versetti 11-12, Gesù afferma chiaramente che il matrimonio è un vincolo che non può essere sciolto per convenienza o per durezza di cuore. Mette in discussione una visione patriarcale, dove l'uomo detiene il potere di decidere unilateralmente. Sottolinea invece l'uguaglianza tra i coniugi, affermando che il ripudio è un peccato contro il patto sacro del matrimonio, indipendentemente dal genere. È una forte difesa della dignità delle donne, che nel contesto dell’epoca erano spesso considerate subordinate agli uomini.

Questa prospettiva di reciprocità e uguaglianza nelle relazioni non si ferma alla questione del matrimonio. Poco dopo, nei versetti 13-16, Gesù interviene in un'altra situazione in cui i discepoli, animati da un atteggiamento patriarcale, cercano di allontanare i bambini che venivano portati a Lui. I discepoli probabilmente li consideravano un fastidio, perché nella società dell'epoca i bambini non godevano di alcuna rilevanza sociale. Tuttavia, Gesù ribalta ancora una volta le convenzioni culturali e insegna che il Regno di Dio appartiene proprio a coloro che sono come i bambini, cioè umili, puri e privi di pretese.

Questo richiamo all’accoglienza dei bambini diventa un insegnamento più ampio sulla necessità di riconoscere il valore intrinseco di ogni persona, indipendentemente dal suo status, dalla sua età o dalle sue capacità. Gesù invita i suoi discepoli – e noi oggi – a rispettare e amare tutti, soprattutto coloro che sono considerati deboli o insignificanti agli occhi del mondo. La dignità umana non dipende dal ruolo sociale o dalle ricchezze, ma dal fatto che siamo tutti figli di Dio.

A mani vuote davanti a Dio

Dopo l’insegnamento sui bambini, l’attenzione di Marco si sposta su un uomo che aveva "molti beni" e che corre incontro a Gesù con una domanda profonda: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?". Gesù, in un primo momento, lo indirizza verso i comandamenti della legge mosaica: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre. L’uomo risponde con sicurezza, affermando di aver osservato tutti questi comandamenti fin dalla sua giovinezza. Tuttavia, Gesù percepisce che questa osservanza formale della legge non è sufficiente per entrare nel Regno di Dio.

Qui emerge un insegnamento fondamentale: non basta osservare la legge, non basta essere moralmente corretti o rispettare le norme religiose. Gesù invita l’uomo a fare un passo ulteriore, a liberarsi dei suoi beni e a seguirlo. Gli chiede di vendere tutto ciò che possiede, di dare i soldi ai poveri e di dedicarsi completamente a Dio. Questo gesto di totale distacco dalle ricchezze è una chiamata radicale a vivere in povertà e a fidarsi unicamente della Provvidenza divina.

La reazione dell’uomo, che se ne va triste perché aveva molti beni, mostra quanto sia difficile per chi è attaccato alle ricchezze seguire davvero Gesù. La ricchezza, infatti, può diventare una sorta di prigione che ci lega alle preoccupazioni mondane e ci impedisce di vivere in piena libertà spirituale. Gesù non sta dicendo che il possesso in sé sia un male, ma sottolinea il pericolo dell’attaccamento ai beni materiali, che può distogliere il cuore da Dio.

Il Vangelo ci insegna che davanti a Dio non contano i beni materiali o il potere che ne deriva, ma ciò che siamo nel profondo del nostro cuore. L’ideale cristiano non è accumulare ricchezze, ma vivere "a mani vuote", come i bambini, senza pretese né orgoglio. In questo senso, la povertà evangelica non è solo una condizione economica, ma un atteggiamento interiore di umiltà e di totale apertura alla grazia di Dio.

La trappola delle ricchezze e il regno di Dio

Quando Gesù afferma che è difficile per i ricchi entrare nel Regno di Dio, usa una delle immagini più potenti e provocatorie del Vangelo: “È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno di Dio”. Questa frase, che lascia i discepoli sbigottiti, vuole sottolineare quanto sia difficile per chi è attaccato ai beni materiali abbracciare pienamente il messaggio evangelico.

La difficoltà non risiede tanto nel possedere ricchezze, ma nell'attaccamento ad esse. Le ricchezze possono diventare una trappola che ci rende ciechi ai bisogni degli altri e ci allontana dalla vera giustizia. L’uomo che accumula ricchezze spesso tende a vivere per se stesso, a proteggere i propri beni e a cercare sempre di più. Questo atteggiamento è in netto contrasto con il messaggio di condivisione e di solidarietà che Gesù predica.

Gesù non condanna i ricchi in quanto tali, ma mette in guardia dal pericolo che la ricchezza rappresenta per il cuore umano. La ricchezza, infatti, può dare una falsa sicurezza, farci credere di essere autosufficienti e farci dimenticare che tutto ciò che abbiamo è dono di Dio e che siamo chiamati a condividerlo con chi ha meno. La ricchezza può anche generare ingiustizia, poiché spesso è accumulata a scapito dei poveri e degli emarginati.

Nel nostro mondo contemporaneo, in cui la disuguaglianza sociale è evidente e persistente, il messaggio di Gesù risuona ancora più forte. L’accumulo di ricchezze da parte di pochi mentre molti vivono nella povertà non è solo una questione economica, ma una questione morale. La società globale è caratterizzata da ingiustizie sistemiche che favoriscono i ricchi e penalizzano i poveri. In questo contesto, le parole di Gesù ci invitano a riflettere sulla nostra responsabilità come cristiani: non possiamo rimanere indifferenti davanti alle sofferenze dei nostri fratelli e sorelle.

Seguire Gesù: povertà e croce

Pietro, a questo punto del Vangelo, si fa portavoce degli altri discepoli e ricorda a Gesù che loro hanno lasciato tutto per seguirlo. Questo sembra un atto di consolazione, quasi a dire: “Noi abbiamo fatto quello che chiedi, abbiamo abbandonato le nostre famiglie e i nostri beni per stare con te”. Gesù risponde con una promessa straordinaria: chiunque lasci tutto per seguire il Vangelo riceverà cento volte tanto, insieme a persecuzioni.

Questa risposta di Gesù è carica di significato. Da un lato, promette una ricompensa abbondante, non solo nella vita eterna, ma anche in questa vita, sotto forma di relazioni più profonde e di una comunità più ampia. Tuttavia, aggiunge anche che questa vita sarà accompagnata da persecuzioni. Qui entra in gioco un altro aspetto fondamentale del cammino cristiano: la croce. Non basta essere poveri o rinunciare ai beni materiali, bisogna anche accettare le sofferenze e le difficoltà che possono derivare dal seguire Cristo.

La croce non è solo un simbolo di sofferenza fisica, ma rappresenta anche la necessità di affrontare le sfide e le opposizioni che inevitabilmente sorgono quando si vive secondo il Vangelo. Gesù non promette una vita facile a chi lo segue, ma piuttosto una vita piena di senso, anche in mezzo alle difficoltà. La sequela di Cristo comporta spesso il contrasto con le logiche del mondo, che privilegiano il potere, la ricchezza e il successo.

Portare la croce significa anche accettare le persecuzioni che possono derivare dalla fedeltà al Vangelo. Questo non riguarda solo le persecuzioni fisiche, ma può includere anche forme di discriminazione, emarginazione sociale o economica, e perfino l'isolamento da parte della propria comunità. Nella storia, molti cristiani hanno sofferto per aver difeso i poveri, per aver lottato contro l’ingiustizia e per aver proclamato la verità del Vangelo.

Conclusione

Il Vangelo di oggi ci invita a una riflessione profonda su cosa significhi davvero seguire Gesù. Non basta osservare le leggi morali o vivere una vita rispettabile. Gesù ci chiede di andare oltre, di riconoscere la nostra povertà spirituale e di liberarci dall'attaccamento ai beni materiali. Ci invita a vivere come bambini, aperti all’amore e alla grazia di Dio, disposti a condividere ciò che abbiamo con gli altri. Ma seguire Gesù significa anche accettare le difficoltà e le persecuzioni che questo cammino comporta. Il cristianesimo non è una religione di comodo, ma una chiamata a una vita di sacrificio, di amore e di giustizia. Solo chi è disposto a prendere la propria croce e a seguirlo potrà entrare nel Regno di Dio, dove l'amore e la verità trionfano sopra ogni cosa. Così possiamo vivere una vita in cui l'amore per Dio e per il prossimo è la legge suprema, e dove le ricchezze terrene vengono viste per quello che sono: strumenti per il bene comune, e non fine a se stesse. Solo in questo modo possiamo sperimentare la vera libertà e la gioia del Regno di Dio qui su questa terra.

 

(Questo contenuto è di proprietà della Chiesa Vetero-Cattolica Riformata)


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